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  • Sofia Tarana

Crisi, bisogno di semplicità: la pasta in bianco secondo lo Chef Luca Natalini

Un piatto essenziale ed espressivo dello stile di cucina di Luca Natalini. Per Acaldo Magazine un'intervista al giovane Chef, da leggere con la semplice complessità di una pasta in bianco. Come una sorta di ritorno modesto, in un momento difficile, a ciò che è fondamentale.


Luca Natalini, classe 1989, è schietto e autentico come la sua pasta in bianco, di cui ne ha fatto un'icona già in tempi non sospetti. Giovane talento della cucina italiana, ha uno charm da grande cuoco di fama internazionale. Di origini toscane, ma con un percorso ricco di esperienze che arrivano fino in Russia dove nel 2016 ha conquistato il titolo di Young chef per S. Pellegrino. Finalista nel 2017 per il programma Top Chef, è stato anche titolare di un proprio ristorante: Autem in provincia di Parma. Tra i tanti progetti che gli bollono in pentola, sa attenersi sempre all'essenziale.


Luca Natalini, Chef

Che cos'è per te la pasta in bianco e perché nei hai fatto un tuo must?

«La pasta in bianco è un piatto che mi ha permesso di farmi conoscere in poco tempo. La scelta è data da un concetto di estrema semplicità che il piatto racchiude, unita ad un'espressione di italianità e convivialità».


Qual è la tua versione?

«La pasta in bianco fa parte della tradizione povera e non esiste una ricetta ufficiale. Si trova in tutte le case degli italiani: c'è chi la fa con il burro, chi con l'olio, chi con il parmigiano...Dopo un'attenta ricerca, è nata la mia versione con Vermouth alle prugne, aceto di riso e miele».


Che formato di pasta scegli per la tua ricetta?


«Mi piace usare lo spaghetto, in particolare il monograno Felicetti per il tipo di grano appunto: rilascia poco amido e questo mi permette di esaltare il gusto della mia ricetta, rendendola la "principessa delle paste"».

Come si presenta al palato la tua variante?

«Ha una forte connotazione di acidità e ha un gusto molto ricco di Umami. È un piatto che guardi e dici: "ah, è una normalissima pasta in bianco", ma poi lo assaggi e avverti una esplosione di piacere».


A detta di molti chef spesso le ricette più semplici sono quelle più difficili, perché?


«La difficoltà è estrema. Più un piatto è minimal e più diventa difficile coprire i difetti. C'è molta meno marginalità di errore».


Collegandoci alla marginalità, in termini economici, quanta se ne può ottenere su un piatto con materie prime così poco dispendiose?


«La pasta in bianco l'ho sempre inserita nel mio percorso degustazione da 8 portate. Non l'ho mai proposta singolarmente alla carta. È un piatto calibrato sulla sua quantità: la mia ricetta prevede solo 35 g di pasta, perché con la sua acidità mi è funzionale a predisporre il palato alle portate successive».


Pensi che questo piatto possa riflettere, in termini gastronomici, questo momento di crisi?


«Sì, è bello riscoprire l'autenticità e tornare alle fondamenta anche attraverso la cucina. Credo che proporre un piatto simile, come ha già fatto anche il tri-stellato Uliassi, sia un bel messaggio da lanciare ora. E noi Chef abbiamo, in parte, anche una funzione sociale».

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